
Ieri su l’Eco di Bergamo protagonisti i pittori originari di Santa Croce che hanno opere in tutto il mondo, soprattutto a Venezia, nell’Istria e in Dalmazia.
Due distinte famiglie
Opere da Serina a Dossena, al santuario della Madonna del Frassino a Oneta. Molte conservate ora alla Carrara
Furono una decina,tutti originari della frazione brembana di Santa Croce, nei pressi di San Pellegrino Terme, e tutti migrati a Venezia, dove furono principalmente attivi tra il XV e il XVI secolo. In realtà provenivano da famiglie diverse e operanti in due distinte botteghe che, pure, spesso lavorarono in collaborazione e con modelli comuni: la prima attivata da Francesco di Simone, la seconda aperta da Girolamo. Sono i Santacroce, dinastia di pittori che spicca nella grande storia di quelle «imprese famigliari» bergamasche che spopolarono nei territori della Serenissima, aprendo la strada a un nostro Rinascimento pittorico.
Spesso confinata nella dimensione di una pittura minore ma oggetto in tempi recenti di uno studio più sistematico e di una vera e propria riscoperta, la produzione dei Santacroce sembrerebbe sconosciuta al grande pubblico che, in realtà, se ignora gli autori ha, invece, una grande famigliarità con la umanissima schiera di Santi, Bambini e Madonne che hanno disseminato nelle chiese e nelle collezioni della città come delle valli.
Attivi dalla seconda metà del Quattrocento, i Santacroce frequentarono le più prestigiose botteghe veneziane, formandosi a contatto con i grandi artisti del tempo, per poi ritagliarsi una solida fetta di mercato, che li portò ad operare su gran parte dei territori della Serenissima, fino a raggiungere l’Istria e la Dalmazia
A cominciare dal primo capostipite, Francesco di Simone, allievo di Giovanni Bellini, che mantenne sempre un forte legame con la sua terra di origine, come documentano il suo testamento a favore del paese natio e due tele oggi all’Accademia Carrara: la bella «Annunciazione» già nella chiesa di Spino al Brembo e il «Trittico del Redentore» di Lepreno, località poco distante da Santa Croce. Certo il linguaggio di Bellini è declinato in chiave semplificata e divulgativa, schietta come doveva essere la committenza bergamasca. Ma vale davvero la pena osservare queste due opere per la cura con cui il pittore racconta l’Annuncio allestendo la scena in un ambiente che ha molto di «bergamasco» e per la poesia dello scorcio paesistico che si estende alle spalle dei Santi che popolano il Trittico.
Di Francesco Rizzo di Bernardo da Santacroce, oggi possiamo visitare la «Pietà con San Pietro e San Giovanni Battista» nella chiesa di Santa Maria Annunciata a Serina e due polittici custoditi nella parrocchiale di Dossena: quello dedicato alla Madonna del Rosario -nove tavole disposte attorno alla statua della Vergine donata nel 1680 da ignoti benefattori bergamaschi migrati a Venezia e quello a lui attribuito, intitolato a San Giovanni Battista. E ancora: suo fratello Vincenzo di Bernardo e il cugino Giovanni De Vecchi, le cui opere si osservano tra la Carrara e la chiesa di Vertova.
È una storia di grande abilità imprenditoriale quella di Girolamo, capostipite dell’altra bottega da Santacroce. Il pittore frequenta a Venezia la bottega di Gentile Bellini, poi quella di Giovanni Bellini e infine quella di Cima da Conegliano. Nel 1520 apre una sua bottega inaugurando un’attività di grande successo, fatta di piacevoli riproduzioni di capolavori di grandi maestri, tanto richiesta da una vasta committenza che si estende fino alle terre d’Istria e di Dalmazia. Doveva davvero essere quotato, Girolamo, nell’ambiente artistico veneziano, se lo stesso Lorenzo Lotto lo ingaggia come collaboratore. A lui si ascrive il «Trittico della Visitazione» conservato nel santuario della Madonna del Frassino a Oneta, in Val Seriana. Alla sua morte ereditano l’attività il figlio Francesco e il nipote Pietro Paolo Galizzi, ma ormai la vivacità della dinastia dei Santacroce era destinata a spegnersi.
Barbara Mazzoleni
La bottega più presente in Istria e Dalmazia
I santacroce da Venezia all’Adriatico orientale. Il fenomeno di esportazione di opere verso le chiese del bacino adriatico, fiorente sin dal Trecento, non riguardò solo i grandi maestri veneziani, come i Vivarini, ma anche botteghe più piccole, come quella di Girolamo da Santacroce e del figlio Francesco.
Nel corso del Cinquecento sono ben quattordici le località che da Capodistria a nord fino alle bocche di Cattaro a sud, accolsero opere della famiglia bergamasca. «Per alcune di queste i Santacroce ne eseguirono più di una: ventidue composizioni d’altare o dipinti, un numero che li rende la bottega cinquecentesca più rappresentata nell’Adriatico orientale». così scrive Ivana Čapeta Rakić nel volume «I Santacroce. Una famiglia di pittori del Rinascimento a Venezia», il quaderno del Museo Bernareggi che raccoglie gli atti del bel convegno che, nell’ottobre 2016, ha dato il via alla riscoperta della dinastia artistica. Ma chi erano i committenti? «Da un totale di quattordici località in cui si trovano i dipinti,- prosegue la studiosa nella sua ricognizione – otto sono legate alle chiese e ai conventi francescani, quasi esclusivamente osservanti. Seguono le committenze per le chiese diocesane (parrocchiali), mentre una sola opera fu destinata a una chiesa domenicana e una a una cappella privata. Nella storiografia l’opinione prevalente è che dietro le committenze della bottega dei Santacroce nell’est adriatico vi siano i francescani di un isolotto detto Kosljun (Cassione) all’interno della baia di Puntarska». Da qui i Santacroce diffusero il loro linguaggio immediato e sereno in una terra che, attanagliata all’epoca dalla paura e dall’insicurezza per la vita quotidiana, chiese loro costantemente Santi a cui votarsi più che un linguaggio pittorico aggiornato. BA MA